"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Gabriele Basilico: intervista a RadioRai su “Mosca Verticale”

D. Come è stato guardare Mosca dall’alto rispetto alle visioni frontali in B/N che siamo abituati a vedere di Gabriele Basilico?
GB. E’ opportuno dire che – in modo molto schematico – una città, sul piano fisico, sul piano architettonico-urbano – quindi sul piano degli edifici e quindi non sul piano delle storie delle persone eccetera – si può esplorare a livello della strada – che è il tipico punto di vista del flaneaur, dell’osservatore, del cittadino, del turista, di tutti quelli che arrivano e vivono una città da un punto di vista esterno -, oppure si può osservare – più raramente, dipende anche dalla orografia dellla città e dalle suo quote, dall’alto. 
Sono due visioni molto diverse.
La prima, è una visione un po’ avventurosa in cui il senso prospettico della città ti viene incontro e quindi la percezione degli assi, degli incroci, delle strade è una sorta di consumo continuo un po’ cinematografico: si cammina e il movimento crea fotografie continue. Quindi c’è una componente dinamica che io rendo statica quando scatto le fotografie. 
La seconda visione – quella dall’alto -, che per me non è una cosa nuova, è più contemplativa. Si arriva in un punto in alto e si scopre dove eravamo: questo è bellissimo. E’ un gioco che i fotografi conoscono bene; è come un premio finale che si dà dopo che si è consumata tanta città e si sono consumate tante suole di scarpe. L’atteggiamento meditativo è un atteggiamento che induce una fotografia lenta un po’ meditativa, cioè  guardo tanto, guardo a lungo e cerco di stancarmi a forza di guardare.

Gabriele Basilico intervistato a RadioRai in I paesaggi senza figure di Gabriele Basilico – prima puntata.

A sera lame di nebbia si infiltrano…

Per terra, sotto gli alberi del bosco, ci sono prati ispidi di ricci e stagni secchi pieni di foglie dure. A sera lame di nebbia si infiltrano tra i tronchi dei castagni e ne ammuffiscono i dorsi con le barbe rossicce dei muschi e i disegni celesti dei licheni.

Italo Calvino in “Il sentiero dei nidi di ragno”

L’Italia ha questo di straordinario…

L’Italia ha questo di straordinario, rispetto alle altre nazioni. Non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. È nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui: Petrarca, che da piccolo ebbe la fortuna di incontrarlo; Boccaccio, che per primo defini la Commedia «Divina» e la lesse in pubblico. E nata da Giotto, che Dante cita nel Purgatorio, e che forse incontrò mentre affrescava nella Cappella degli Scrovegni il Giudizio universale, con i sommersi e i salvati. E l’Italia è nata dagli altri artisti che da Dante furono ispirati nel ritrarre il Bene e il Male, il Paradiso e l’Inferno, la grandezza dell’uomo e l’abisso della sua perversione.

Aldo Cozzullo nell’introduzione di “A riveder le stelle”

“Il mio paesaggio” di Italo Calvino

Il mio paesaggio era qualcosa di gelosamente mio .., un paesaggio che nessuno aveva mai scritto davvero. (Tranne Montale, – sebbene egli fosse dell’altra Riviera, …) Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio della mia città – San Remo – cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico – lungomare con palmizi, casinò, alberghi, ville – quasi vergognandomene; cominciavo dai vicoli della Città vecchia, risalivo per i torrenti, scansavo i geometrici campi dei garofani, preferivo le «fasce» di vigna e d’oliveto coi vecchi muri a secco sconnessi, m’inoltravo per le mulattiere sopra i dossi gerbidi, fin su dove cominciano i boschi di pini, poi i castagni, e così ero passato dal mare – sempre visto dall’alto, una striscia tra due quinte di verde – alle valli tortuose delle Prealpi liguri. Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos’altro: a delle persone, a delle storie.

Italo Calvino nella sua presentazione di “Il sentiero dei nidi di ragno”

Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri De Luca da “Opera sull’acqua e altre poesie” – Torino, Einaudi, 2002

Capannone vs campanile

Con quell’edificio la possente mole del campanile non la si vedeva più salendo dalla valle e neppure dal brolo. Era come se avessero cancellato il volto del paese, che col campanile si annunciava a chiunque ci arrivasse da Verona. Fu un’occlusione che suscitò dispiacere in molti. Ma i più neanche ci badavano. (…) Contava solo il fatto che l’edificio si costruisse, a segno del benessere che era arrivato nella valle. Quello era il simbolo edilizio, il nuovo riferimento nel paesaggio al posto del millenario campanile.

Eugenio Turri in “Miracolo economico: dalla villa veneta al capannone industriale”