"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

ME.AND~SCAPE

Anche l’intimità che portiamo con noi fa parte del paesaggio” Gianni Celati in “Verso la foce

Nota introduttiva

Ogni avventura ha sempre un suo inizio e un suo perché.

Se l’ispirazione per l’avvio del mio lavoro dedicato alla storica strada di attraversamento della borgata di Mori (la cosiddetta via Imperiale) è giunta nella primavera del 2020, in pieno lock down, dopo aver seguito una presentazione del lavoro fotografico dedicato alla città di Padova da parte del fotografo (e architetto) Marco Introini e aver contemporaneamente ripensato alla metodologia di lavoro che un altro grande fotografo (e architetto) Gabriele Basilico aveva più volte raccontato nelle sue interviste, la fonte ispiratrice del mio nuovo lavoro che ho denominato, significativamente, ME.AND~SCAPE è stata la lettura (e le successive riletture) di un libro molto particolare.

Mi riferisco al libro dal titolo “Verso la foce” formato da quattro racconti che l’autore Gianni Celati, conosciuto da tanti ma sconosciuto a molti, definisce “racconti d’osservazione”.

Al libro, come mi era già successo con gli scritti di Alessandro Cucagna (che saranno stati poi alla base del mio lavoro fotografico culminato con la stampa del libro “Gardumo 77.78 17.18”), che mi aveva fin da subito colpito e che inizialmente aveva stimolato in me l’idea di tornare su quei luoghi per capire, dopo 40 anni, cosa era successo all’ambiente fisico e umano raccontato dall’autore a cavallo tra il 1983 e il 1986, ho dedicato più letture e ho lasciato che i pensieri e le osservazioni contenute potessero decantare lentamente in me stesso.

L’idea di tornare su quei luoghi è sicuramente rimasta forte in me, ma al contempo ho rielaborato quanto letto e sono andato alla ricerca della “mia foce” e di territori ancora relativamente vergini da osservare, prima, e raccontare, poi, per mezzo della mia macchina fotografica.

La scelta del territorio, visto anche la mia passione “idraulica” di gioventù e la conoscenza tecnica della materia, è stata di conseguenza naturale: avrei seguito il fiume Adige là dove la mano dell’uomo era stata meno invasiva e dove non era intervenuta troppo pesantemente con i molti lavori di rettifica che l’amministrazione austriaca aveva realizzato in concomitanza dei lavori di realizzazione della ferrovia del Brennero poco prima della famosa alluvione del 1882.

Ho così individuato la zona della Terradeiforti, poco a sud del confine tra la provincia di Trento e la provincia di Verona, nella quale il fiume Adige mantiene ancora oggi il suo andamento meandriforme del secolo XIX. Il territorio individuato fa parte del Comune di Brentino Belluno, situato sulla sponda destra dell’Adige, e il Comune di Dolcè, situato sulla sponda sinistra del fiume, i cui confini corrispondono con l’asse, in quel tratto tutt’altro che rettilineo, del fiume Adige.

Come immaginavo in queste mie prime uscite (da gennaio ad oggi) ho potuto raccontare un territorio agricolo dove la mano dell’uomo ha prodotto, e continua tutt’oggi a produrre, un paesaggio curato e armonioso che rimane a contatto con il fiume, la sua acqua e i materiali da esso trasportati durante le piene.