"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Fotografia e rappresentazione

Penso che la mia resti comunque una fotografia descrittiva, fedele allo stile “documentario”. Questo modo di lavorare, mio e di altri, ha ritrovato un senso e una funzione dopo la fine degli anni ’70. L’architettura e l’urbanistica hanno realizzato che la documentazione fotografica poteva essere uno strumento nuovo ed efficace per aiutare a rappresentare il paesaggio postindustriale che si era trasformato troppo rapidamente.

Gabriele Basilico in “Palermo andata e ritorno”

Ferdinando Scianna scrive di Gabriele Basilico

Vedo il lavoro di Gabriele come una sorta di diario sentimentale e trovo che non sia stato dato sufficiente risalto all’emotività che lo guida alla scoperta del fatto urbano come se fosse la lettura di un libro di pietra, come Victor Hugo definiva la città, come al carattere singolarmente mediterraneo delle sue immagini.

Ferdinando Scianna in “Basilico: Palermo andata e ritorno”

Paesaggio come “corpo”

Proprio perché per Basilico il paesaggio è corpo, il suo lavoro non si è mai fermato: l’iterazione, il ritorno sui luoghi, il modo laborioso di guardare e riguardare i contesti urbani e metropolitani contemporanei nel loro crescere, articolarsi, sorprendente rivelarsi per il tramite della lettura fotografica, sono il metodo di questo artista che ha sempre coniugato una sicura progettualità con una nascosta emotività. Le sue sono state azioni pianificate e insieme sentimentali che hanno portato alla costruzione di grandi serie di immagini non rispondenti a criteri di una rigida serialità, ma invece strutturate secondo un continuo avvicendarsi di tipologie ricorrenti: appunto quell’andamento che abbiamo definito sinusoidale già presente in nuce in “Milano ritratti di fabbriche”. Dopo quella prima significativa esperienza egli ha osservato il paesaggio secondo grandezze diverse dello sguardo, ora staccandone ed evidenziandone gli elementi emergenti, ora affrontandone il complesso tessuto, ora adottando slittamenti di grandezze all’interno di uno stesso lavoro e anche livelli dello sguardo e punti di vista diversi, fino alla veduta dall’alto, adottata a metà degli anni Ottanta durante i lavori per la Mission Photographique de la DATAR, il grande progetto di committenza dello Stato francese dedicato al paesaggio contemporaneo, poi a Beirut e in seguito in molti lavori fino ai primi anni Dieci del Duemila, forse a significare il tentativo estremo di prendere in considerazione tutto l’insieme della città, tutto il paesaggio possibile, e infine anche rotazioni della macchina che danno come esito dinamiche vedute diagonali quasi di tono strutturalista, come nell’ampio lavoro su Mosca.

Roberta Valtorta nella sua introduzione all’edizione 2022 di Milano Ritratti di fabbrica

… un errabondo allenamento della percezione

… quello del flȃneur è un modo di vivere lo spazio urbano nato in epoca moderna e consiste nel piacere di vagare abbandonandosi a una esplorazione libera da programmi precisi e mete prestabilite. Non un inutile perder tempo, ma un errabondo allenamento della percezione, un’apertura sensoriale al godimento di tutto ciò che avviene nella città, molto lontano da una produttività legata a ritmi funzionali e determinati.

Roberta Valtorta: “Gabriele Basilico e Milano: un legame particolare”

Pattinare fa ridere

Se camminare è un’attività riflessiva, e fa pensare, pattinare fa ridere, trasforma ciò che è statico in dinamico e ogni luogo di transito in uno spazio ludico.

Alicia Kopf in “Io e il mare” uno dei contributi in “The passenger: Barcellona”

Il vuoto come protagonista di se stesso

Non penso di fotografare il vuoto nel senso di una mancanza di presenza, ma fotografo il vuoto come protagonista di se stesso, con tutto il suo lirismo, con tutta la sua forza, con tutta la sua umanizzante capacita di comunicazione, perché il vuoto nell’architettura è parte integrante, persino strutturale del suo essere.

Gabriele Basilico in “Architetture, città, visioni”