"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Gabriele Basilico: intervista a RadioRai su “Mosca Verticale”

D. Come è stato guardare Mosca dall’alto rispetto alle visioni frontali in B/N che siamo abituati a vedere di Gabriele Basilico?
GB. E’ opportuno dire che – in modo molto schematico – una città, sul piano fisico, sul piano architettonico-urbano – quindi sul piano degli edifici e quindi non sul piano delle storie delle persone eccetera – si può esplorare a livello della strada – che è il tipico punto di vista del flaneaur, dell’osservatore, del cittadino, del turista, di tutti quelli che arrivano e vivono una città da un punto di vista esterno -, oppure si può osservare – più raramente, dipende anche dalla orografia dellla città e dalle suo quote, dall’alto. 
Sono due visioni molto diverse.
La prima, è una visione un po’ avventurosa in cui il senso prospettico della città ti viene incontro e quindi la percezione degli assi, degli incroci, delle strade è una sorta di consumo continuo un po’ cinematografico: si cammina e il movimento crea fotografie continue. Quindi c’è una componente dinamica che io rendo statica quando scatto le fotografie. 
La seconda visione – quella dall’alto -, che per me non è una cosa nuova, è più contemplativa. Si arriva in un punto in alto e si scopre dove eravamo: questo è bellissimo. E’ un gioco che i fotografi conoscono bene; è come un premio finale che si dà dopo che si è consumata tanta città e si sono consumate tante suole di scarpe. L’atteggiamento meditativo è un atteggiamento che induce una fotografia lenta un po’ meditativa, cioè  guardo tanto, guardo a lungo e cerco di stancarmi a forza di guardare.

Gabriele Basilico intervistato a RadioRai in I paesaggi senza figure di Gabriele Basilico – prima puntata.

La memoria nel ghiaccio

La visita a Punta Linke rappresenta un’esperienza diversa rispetto a quelle che si possono provare in altri contesti del primo conflitto mondiale. Prima di tutto Punta Linke non è un museo della Grande Guerra: gli spazi museali sono progettati solo per esposizioni visuali creando così un “silenzio olfattivo”. E invece a Punta Linke l’esperienza più profonda è proprio quella dell’odore, quello che emanano ancora i copriscarponi, la carta catramata, il motore, il legno della baracca: è lo stesso odore che essi emanavano cento anni fa e che il ghiaccio ha intrappolato fino ad oggi.

(…) A Punta Linke la guerra è il suo odore.

Franco Nicolis in “Il passato che ci viene addosso”, testo introduttivo del volume “La memoria del ghiaccio: archeologia della grande guerra a Punta Linke”

Luigi Ghirri su Walker Evans

… con il suo lavoro si entra in una relazione di affetto, quasi un principio di innamoramento; i luoghi, gli spazi, i volti diventano immediatamente riconoscibili, familiari, abitabili. Nessuna violenza, nessuno choc, visivo o emozionale, nessuna sdolcinatura; quello di Evans è uno stato di «tenerezza» nei confronti del mondo, una sensazione di unità e sintonia. Ogni parte del paesaggio, dai tetti delle case alle insegne sui muri, sembra attendere che si posi lo sguardo amorevole di Evans per essere riconosciuta. Nessuno steccato oltre la casa per esilii definitivi o provvisori.

Luigi Ghirri in “Niente di antico sotto il sole”

… molti non sono stati solo mutamenti del paesaggio, quanto cambiamenti del vivere.

Forse alla fine i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi i riconosca, e non li disprezzi relegandoli negli scaffali dello sterminato supermarket dell’esterno. Forse questi luoghi appartengono più al nostro esistente che alla modernità e non solo ai deserti o alle terre desolate. Aspettano forse nuove parole o nuove figure, perché quelle che conosciamo sono da troppo usurate, e perché molti non sono stati solo mutamenti del paesaggio, quanto cambiamenti del vivere. In tutto questo mi sembra di leggere, soprattutto, una sorta di stato di necessità affinché il paesaggio di cui parliamo, luogo del presente, si trasformi e non rimanga luogo di nessuna storia e di nessuna geografia.

Luigi Ghirri da “Per un’idea di paesaggio”

Perché il lavoro è dignità; come l’insegnamento, come lo studio.

Nell’Italia dei nostri padri la ricchezza era ancora legata al lavoro. Lavoro spesso svolto in condizioni durissime: sfruttamento, mezzadri in balia del padrone, ragazzini e donne al nono mese di gravidanza chine sui campi; e poi ciminiere in città, reparti verniciatura, acciaierie in riva al mare. Ma comunque era il lavoro – in campagna, in fabbrica, nei servizi – a produrre la ricchezza. Ora i soldi si fanno con altri soldi. Il lavoro sembra non valere più nulla. Viene esportato, in Paesi dove costa molto meno; sostituito dalle macchine intelligenti; reso inutile dalla Rete; affidato a immigrati disposti a faticare molto in cambio di poco, magari in nero. (…) L’economia mondiale era adagiata su una montagna di carta destinata a franare alla prima emergenza. Il coronavirus è stato un’emergenza al di là di qualsiasi previsione. E ora che si tratta di ripartire, dovremmo ritrovare non solo lo spirito, ma anche il metodo con cui le nostre madri e i nostri padri ricostruirono l’Italia dalle macerie della seconda guerra mondiale: il lavoro. Perché il lavoro è dignità; come l’insegnamento, come lo studio. Sono queste le uniche leve che possono innalzarci al livello di quella grandezza, di quell’eterno genio italiano che è il vero centro della poesia di Dante.

Aldo Cazzullo in “A riveder le stelle”

… perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

E questa è una cosa molto italiana, perché se è vero che in ogni Paese ci sono accenti del Nord e del Sud, non esiste una terra come la nostra dove a ogni crinale di collina cambiano inflessioni, lessico, cantilene, profumi, sapori, abitudini. Siamo un Paese di piccole patrie, e il legame con il territorio è una ricchezza, perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

Aldo Cazzullo in “A riveder le stelle”