"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

La politica continuano a farla le persone

“Sembra vuota Casaglia a passarci così ma dentro le case, una diversa dall’altra, protette da queste scariche di vento che scuote le porte e scaglia in aria i fogli di giornale, ci sono trenta persone, da domani forse trentuno perché sembra che Renata si sia convinta a trasferirsi da Faenza a qua.

La politica continuano a farla le persone.

La vera forza di gravità è sempre la passione, che tiene aggrappate alla terra, anche se è avara, anche se è amara, le persone.”

Emiliano acrobati in “Diari casagliesi”

Scale di casa

“Le scale che da casa di Luisa fanno un’ansa fino al pianerottolo dove abita Piera sono già, a loro modo, una casa. Mi piace chi arreda le scale. È una forma di cura che ha a che fare con i fiori o la poesia. Accanto a una finestra è appesa una mensola, sopra la quale stanno in fila quattro vasi, diversi, di cui uno vuoto. Da uno si erge una rosa, in un altro alberga un cactus, in un altro ancora una piantina che non so. Dietro di essi troneggia un grande uccello imbalsamato.”

Emiliano Cribari in “ Diari casagliesi”

Integrazione vs interazione

«C’è una parola che ricorre in questi casi» gli dico «nella bocca di politici, amministratori, uomini di chiesa, intellettuali, giornalisti, una parola che a me non piace: ‘integrazione‘.

L’integrazione mi pare sempre unidi-rezionale: dalla cultura minoritaria (spesso identificata come sottocultura) verso quella, liberatoria, maggioritaria (l’unica vera cultura). Insomma, un annullamento, una omologazione alla ‘normalità’, sempre se qualcuno riuscirà mai a spiegarmi cos’è questa tanto decantata normalità. »

«Non la amo neanch’io quella parola» mi dice. «È bruttissima. Io uso ‘interazione‘. È questo che dobbiamo fare: interagire, mantenere le diversità, dentro un campo di regole condivise

Colloquio tra Yuri e Gianni in “Metropoli per principianti” di Gianni Biondillo

Il mercato non è morale, si sa.

Il mercato non è morale, si sa.

Lo dovrebbe essere la politica, invece. Ma quella che è mancata in Italia, in questi ultimi vent’anni, è proprio una politica lungimirante che sapesse gestire il mutamento in atto. Perché la vergogna nazionale, in fondo, è stata proprio questa politica dello struzzo, che non ha saputo volare alto, che ha lasciato al mercato la gestione delle vite di questi migranti, come se non fossero portatori, anch’essi, di diritti.

Una politica dell’inesistenza. Lavoratori che sparivano usciti dalle fabbriche, dai campi agricoli, dai cantieri. Non esistevano più. Per riapparire miracolosamente la mattina appresso nei luoghi di lavoro.

Ma l’inesistenza sociale implica l’inappartenenza, la disaffezione al luogo dove si vive, la marginalità sociale. Lavorare a Sassuolo non può essere solo sopravvivenza quotidiana, ma anche progetto, ambizione, desiderio di ricongiungimento familiare, di stabilizzazione. È dare una speranza ai propri figli, farli studiare. È smetterla di chiamarli «seconda generazione di immigrati» (…) e iniziare a chiamarli per quello che davvero sono: sassuolesi.”

Gianni Biondillo in “Metropoli per principianti”

A proposito di “non-luoghi”

“Il non-luogo – concetto importante quando fu teorizzato da Marc Augé, più di vent’anni fa – ormai è una formula vuota.

Non esistono non-luoghi, ma solo luoghi che aspettano di essere riconosciuti come tali.

Luoghi che aspettano una narrazione condivisa. Il problema non è capire se questo sia un bel posto, ma se è un posto che ha saputo riempirsi di senso.”

Gianni Biondillo in “Passaggio a nord-ovest”

Non fate studiare architettura ai vostri figli.

“Non fate studiare architettura ai vostri figli. Non ne vale la pena. Se lo fate per il successo, per il denaro, per la fama, insisto, è un consiglio spassionato: lasciate perdere. (…) È il peggior investimento che potreste fare, quindi non fatelo.

(…) nonostante tutto insistete a voler iscrivere i vostri virgulti in quelle bolge dantesche che sono le facoltà di architettura italiane?

Be’, allora fatelo. Fatelo davvero. Perché, in fondo, (…) di certo state facendo frequentare loro la più bella delle facoltà universitarie, la più stimolante, la più variegata.

Perché l’architettura è una disciplina che si pone in un crocevia dove soffia da una parte il vento della cultura umanistica e dall’altra quello della cultura scientifica e dell’innovazione. Perché un architetto deve sapere di tecnologia, di sociologia, di storia dell’arte, di restauro, di tecnica delle costruzioni, di estetica, di urbanistica, di composizione. Perché è l’ultima disciplina ancora perfettamente rinascimentale, dove tutto rimanda ad un tutto. Di quelli che si laureano nessuno o pochissimi faranno la professione, ma tutti sapranno trovarlo un lavoro, qualunque lavoro. Perché la disciplina dell’architettura prevede una flessibilità mentale, una capacità di adattamento alle situazioni, un senso del progetto, che servono a prescindere dal lavoro che stai facendo.

Perché un architetto è, in soldoni, un coordinatore di processi complessi, è come il regista di un film, che non recita, non scrive il soggetto, non compone la colonna sonora, non si occupa del montaggio, dell’editing, del casting. Eppure fa tutto, è dappertutto, parla con tutti, con ognuno ha qualcosa da dire. Ecco la grandezza di questa disciplina, ecco perché è bello studiarla. E non solo.

L’altro grande dono che ti dà è lo sguardo. La capacità di interpretare lo spazio, di dialogare con le forme – urbane o minute, quotidiane o storiche -, di comprendere il potenziale iconografico del reale e del virtuale.

Questo ti dà lo studio dell’architettura.”

Gianni Biondillo in “Metropoli per principianti”