"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Viaggiare e sostare fianco a fianco

Viaggiare fianco a fianco, camminare insieme, regolare il proprio passo su quello dell’altro, parlarsi guardando la stessa strada oppure lo stesso paesaggio: la scena è già bella di per sé e ciò potrebbe bastare a farci optare per questa saggia decisione.

Ma il concetto acquista il suo pieno significato nella sosta: da molto tempo, ormai, non mi siedo più di fronte agli altri, ma di fianco. Spesso questo dettaglio minimo basta a cambiare l’emozione di un incontro, anche nei lunghi silenzi condivisi che il faccia a faccia non permette, se non con imbarazzo.

Stando fianco a fianco, si ha sempre l’impressione che l’orizzonte, in lontananza, avvicini tra loro vite parallele. Stando di fronte, invece, la presenza dell’uno pone un limite fisico all’altro, influendo addirittura sulla durata dello scambio, perché, se si può stare a lungo seduti fianco a fianco senza parlare, quando si è di fronte il silenzio dell’interlocutore spinge subito al chiacchiericcio o al congedo. È quasi il simbolo della sosta, che potremmo definire come il momento e il luogo statici nei quali si incrocia la vita degli altri. Non ci si urta come in un faccia a faccia. La prospettiva dell’uno è esposta allo sguardo dell’altro.

Patrick Manoukian in “L’arte di perdere tempo”

Toponomastica e fiumi

“Brancere, che originariamente era posto a sud del Po, si ritrovò sull’attuale lato opposto del fiume in seguito a una devastante alluvione ai tempi del Rinascimento.

La toponomastica lungo il Po evoca spesso la natura del fiume: Alluvioni Piovera, Cascina Alluvioni, Gorgo, Sale, Salara, Stagno Lombardo.”

Matteo Santoni in “LA FINE DEL FIUME: esplorazioni lungo il Po nell’anno MMXXII”

La madre di tutte le vie

“Non è vero che tutte le strade portano a Roma. È più giusto dire che “tutte le strade partono da Roma”. Il conteggio delle miglia inizia e non termina in questo straordinario punto zero. La mappa delle vie consolari è una ragnatela di canali linfatici fatti per innervare le periferie, non il contrario.

In questa rete l’Appia è la Numero Uno, la Madre di tutte le vie. La Regina Viarum. La linea originale è lunga trecentosessanta miglia, pari a 533 chilometri, ma il tracciato percorribile si è allungato fino a 611 chilometri per gli ostacoli cresciuti negli anni dello spreco. È una direttrice indiscutibile, incurante dei dislivelli, costruita col sangue e il sudore di migliaia di sconosciuti. Il segno d’imperio di un cieco di nome Appio Claudio, che a partire dal 312 a.C. ne fa costruire la prima parte fino a Capua nel segno del rettilineo. Tracciare una linea è un atto sacrale che conferisce « chi lo compie un rango superiore, un po’ come Romolo che diventa “rex” disegnando i confini di una città. Le altre vie arriveranno dopo. Si chiameranno Cassia, Popilia, Flaminia, Emilia, Tiburtina-Valeria.

Alla fine del secondo secolo d.C. la rete raggiungerà le 53 mila miglia dalle terre iperboree di Scozia ai confini della Persia, dalle coste atlantiche di Spagna alla Selva di Teutoburgo in Germania, dai deserti della Libia alle nevi del Caucaso. Il sistema stradale migliore del mondo.”

Da “L’Appia ritrovata: in cammino da Roma a Brindisi” con Paolo Rumiz & c.

Passaggio di testimone

“I gatti sanno che è il vento

a portare le storie da una costa all’altra

sorvolando il mare.

Ed è lo stesso vento che fa girare le pagine dei libri,

mettendo l’una accanto all’altra idee ardite,

accostate dal caso o dal destino.”

Paolo Ganz. Incipit di “L’istinto del gatto mediterraneo”

Dopo la lettura di “La ballata del vento” di Mario Ferraguti quale poteva essere il miglior incipit del nuovo libro che mi sto apprestando a leggere dal titolo “L’istinto del gatto mediterraneo”?

Si tratta proprio di un perfetto passaggio di consegne tra Vento (protagonista del libro di Ferraguti) e il Gatto (che ho capito – non serviva poi molto – essere il protagonista del libro di Ganz).

Nuvole, forma e poesia

“Le nuvole non hanno una forma, eppure contengono tutte le forme del mondo. Per definirle dobbiamo paragonarle ogni volta ad altro. Dobbiamo sforzarci di trovare somiglianze, assonanze, similitudini, se vogliamo anche solo indicarle.

Per questo sono l’elemento naturale che più si avvicina alla metafora e al discorso metaforico.

Sono, potremmo dire, l’atto poetico della natura.”

Paolo Millanta in “La rotta delle nuvole”

Nuvole e libertà

“Le nuvole sembravano … andare a tempo su chissà quale musica. A volte sembrava un valzer. A volte qualcosa di più ritmato. Forse c’era una musica nel vento che solo loro riuscivano a sentire.

Chissà.

Fatto sta che volteggiavano completamente libere in tutto quell’azzurro.

Stavano danzando la loro libertà di andare.

Peppe Millanta in “La rotta delle nuvole”