"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

“Comunità Autonoma” di Giorgio Lunelli

A proposito di “radici” e di identità (di cui ho parlato nel mio post) riporto volentieri il pensiero di Giorgio Lunelli pubblicato il 24 aprile 2012 sul suo sito. (segnalo inoltre l’intervento su “politica è responsabilità”)

“La dimensione identitaria non può essere l’elemento costitutivo e caratterizzante dell’Autonomia. Se così fosse, l’Autonomia sarebbe solo luogo delle radici, non capacità di protendere i rami verso il mondo. L’Autonomia deve essere predisposizione a rafforzare – grazie all’autogoverno – le forze vive di un territorio, a fare meglio e prima, a consentire un incrocio fecondo (e non di rottura) tra i flussi e i luoghi. Guai se l’autonomia si riduce all’apologia del campanile, alla esaltazione della particolarità, alla presunzione dell’autosufficienza e al primato dell’autoreferenzialità.

L’Autonomia deve essere – sempre più – occasione di rafforzamento di una Comunità. Soprattutto se questa Comunità – come nel caso del Trentino – non è una cifra unica, ma è, piuttosto, l’insieme di tante comunità che nei secoli hanno cercato di darsi delle regole prima ancora di stabilire dei diritti derivanti dall’appartenenza. Ciò anche per fronteggiare i limiti e i bisogni derivanti dalla morfologia alpina.

I nostri territori non sono mai stati luogo della chiusura. Non possono diventarlo oggi che il mondo è diventato piccolo e tutto gira così veloce: sarebbe sciocco e controproducente. Per questo ho sempre sostenuto che “la terra è di chi la ama, non di chi la possiede” che evidenzia l’importanza del sentirsi appartenenti ad una comunità quale processo di partecipazione, non mai di semplice effetto di un diritto. Perché comunità è innanzitutto condivisione; sono le relazioni, a fare una comunità. E una “Comunità Autonoma” è espressione che non si limita ad evidenziare una particolare condizione, piuttosto un obiettivo che si rinnova ogni giorno.

Ciò rende ancor più evidente il ruolo essenziale della politica e la necessità di ripensare alle forme della politica. A partire dalla dimensione territoriale: un partito, cioè, che sappia proporre soluzioni originarie alla perdita di legami sociali, alla crisi dei meccanismi partecipativi, alla cultura plebiscitaria, a tutto ciò che han fatto sì che i partiti diventassero solo macchine elettorali.”

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