"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Lorenz e Verra (novembre 1967)

“Ci sono case del XVI secolo; altre dei secoli successivi. Tutte conservano un motivo di piacevole meditazione. Ecco quella al limite dell’agglomerato, fondata nella china sì da permettere il pieno sfruttamento del prospetto a valle e da dar tepore costante alla stalla seminterrata. Reca sulla porta di abete il segno d’una delle ultime tradizionali visite beneauguranti dei Re Magi: 1836. G (aspare), M (elchiorre), B (aldessare).

Il plastico aggetto esterno del forno da pane sta crollando, le assi di larice del tetto si sfaldano, la stua dalle credenze dipinte e dalla gran mussa è ancora impregnata da un acuto odore di pecora.

Più in là, presso il monumentale fienile ligneo a barcons rallegrato da una di quelle singolari fontane perenni di assi di abete dette festil, e che hanno sostituito gli enormi tronchi scavati, si ammira nell’interezza della tradizione una tipica casa ladina. Una tettoia di scandole protegge l’ingresso dalla neve ammucchiata dal vento.”

Aldo Gorfer in “solo il vento bussa alla porta”

Camminare è un’atto essenziale

“Camminare è un atto essenziale: un gesto antico, quotidiano, che ci mette in relazione con lo spazio e con il tempo, con chi ci ha preceduto e con chi verrà dopo di noi.

Flavio Faganello lo ha fatto per decenni, percorrendo instancabilmente le strade e i sentieri del Trentino-Alto Adige. Attraverso la fotografia, ci ha restituito una memoria viva del paesaggio, delle comunità e delle loro trasformazioni. (…)

Il cammino è esperienza centrale anche nel percorso dell’uomo credente. Ce lo attesta anche il Giubileo di cui siamo protagonisti.

Mettersi in cammino significa riscoprire il valore dell’incontro, della ricerca, della memoria che si fa racconto. Così, le fotografie di Faganello ci invitano a sostare, a osservare con rinnovata attenzione, a interrogarci su ciò che permane e su ciò che cambia. In tondo, a ritrovare motivi di speranza.”

Lauro Tisi arcivescovo di Trento

La politica continuano a farla le persone

“Sembra vuota Casaglia a passarci così ma dentro le case, una diversa dall’altra, protette da queste scariche di vento che scuote le porte e scaglia in aria i fogli di giornale, ci sono trenta persone, da domani forse trentuno perché sembra che Renata si sia convinta a trasferirsi da Faenza a qua.

La politica continuano a farla le persone.

La vera forza di gravità è sempre la passione, che tiene aggrappate alla terra, anche se è avara, anche se è amara, le persone.”

Emiliano acrobati in “Diari casagliesi”

Scale di casa

“Le scale che da casa di Luisa fanno un’ansa fino al pianerottolo dove abita Piera sono già, a loro modo, una casa. Mi piace chi arreda le scale. È una forma di cura che ha a che fare con i fiori o la poesia. Accanto a una finestra è appesa una mensola, sopra la quale stanno in fila quattro vasi, diversi, di cui uno vuoto. Da uno si erge una rosa, in un altro alberga un cactus, in un altro ancora una piantina che non so. Dietro di essi troneggia un grande uccello imbalsamato.”

Emiliano Cribari in “ Diari casagliesi”

Integrazione vs interazione

«C’è una parola che ricorre in questi casi» gli dico «nella bocca di politici, amministratori, uomini di chiesa, intellettuali, giornalisti, una parola che a me non piace: ‘integrazione‘.

L’integrazione mi pare sempre unidi-rezionale: dalla cultura minoritaria (spesso identificata come sottocultura) verso quella, liberatoria, maggioritaria (l’unica vera cultura). Insomma, un annullamento, una omologazione alla ‘normalità’, sempre se qualcuno riuscirà mai a spiegarmi cos’è questa tanto decantata normalità. »

«Non la amo neanch’io quella parola» mi dice. «È bruttissima. Io uso ‘interazione‘. È questo che dobbiamo fare: interagire, mantenere le diversità, dentro un campo di regole condivise

Colloquio tra Yuri e Gianni in “Metropoli per principianti” di Gianni Biondillo

Il mercato non è morale, si sa.

Il mercato non è morale, si sa.

Lo dovrebbe essere la politica, invece. Ma quella che è mancata in Italia, in questi ultimi vent’anni, è proprio una politica lungimirante che sapesse gestire il mutamento in atto. Perché la vergogna nazionale, in fondo, è stata proprio questa politica dello struzzo, che non ha saputo volare alto, che ha lasciato al mercato la gestione delle vite di questi migranti, come se non fossero portatori, anch’essi, di diritti.

Una politica dell’inesistenza. Lavoratori che sparivano usciti dalle fabbriche, dai campi agricoli, dai cantieri. Non esistevano più. Per riapparire miracolosamente la mattina appresso nei luoghi di lavoro.

Ma l’inesistenza sociale implica l’inappartenenza, la disaffezione al luogo dove si vive, la marginalità sociale. Lavorare a Sassuolo non può essere solo sopravvivenza quotidiana, ma anche progetto, ambizione, desiderio di ricongiungimento familiare, di stabilizzazione. È dare una speranza ai propri figli, farli studiare. È smetterla di chiamarli «seconda generazione di immigrati» (…) e iniziare a chiamarli per quello che davvero sono: sassuolesi.”

Gianni Biondillo in “Metropoli per principianti”