"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Il vedere e la lettura del mondo

Nuovo del paese, sono ancora nella fase in cui tutto quel che vedo ha un valore proprio perché non so quale valore dargli. Basterebbe che mi fermassi un po’ in Giappone e certo anche per me diventerebbe un fatto normale che la gente si saluti con ripetuti profondi inchini, anche alla stazione; che molte signore, soprattutto anziane, portino il chimono col fastoso fiocco sulla schiena che forma una lieve gobba sotto il soprabito e procedano coi piccoli passi trotterellanti dei piedi biancocalzati.

Quando tutto avrà trovato un ordine e un posto nella mia mente, comincerò a non trovare più nulla degno di nota, a non vedere più quello che vedo. Perché vedere vuol dire percepire delle differenze, e appena le differenze si uniformano nel prevedibile quotidiano lo sguardo scorre su una superficie liscia e senza appigli.

Viaggiare non serve molto a capire (questo lo so da un pezzo; non ho avuto bisogno d’arrivare in Estremo Oriente per convincermene) ma serve a riattivare per un momento l’uso degli occhi, la lettura visiva del mondo.

Italo Calvino in “Collezione di sabbia”

Voglio registrare tutto

“Quando lavoro è come se fossi in preda a una forma morbosa. Voglio registrare tutto. Con il mio comportamento è come se volessi diventare la città stessa. Riprendendo una metafora culinaria, si potrebbe paragonare la città alla cultura della cucina: la si comprende mangiando, senza usare parole.

Non si tratta solo di guardare la realtà, bisogna metabolizzarla, e questo non avviene in un solo giorno.”

Gabriele Basilico intervistato da Gabriel Bauret

a che serve la città se non ad andarsene il sabato e la domenica?

“- E a che serve la città se non ad andarsene il sabato e la domenica? –
[…]
Per Avandero, come per centinaia di migliaia d’altre persone che ci davano dentro tutta la settimana in grige occupazioni pur di poter correre via alla domenica, la città era un mondo perso, una macina per produrre i mezzi d’uscirne quelle poche ore e poi tornarci. Avandero, passati i mesi dello sci, cominciava quelli delle gite campestri, della pesca alle trote, e poi del mare, e della montagna estiva, e della macchina fotografica.”

“La nuvola di smog” | Italo Calvino

Questo era il mio nuovo paese

Questo era il mio nuovo paese. Presi bambino e moglie e dissi: – Andiamo a fare un giro, andiamo fino al mare.

Era sera. Passavamo per viali e strade a scale. Il sole batteva su uno spigolo della città vecchia, di pietra grigia e porosa, con cornici di calce alle finestre e i tetti verdi d’erba. Nell’entroterra la città s’apriva a ventaglio, s’ondulava in versanti di colline, e dall’uno all’altro lo spazio era colmo d’aria limpida, a quest’ora color rame. Nostro figlio si voltava stupito a vedere ogni cosa e a noi toccava prendere parte alla sua meraviglia, ed era un modo per riaccostarci al blando sapore che ha a momenti la vita e ricondurci al passare dei giorni.

“La formica argentina” | Italo Calvino

Dietro il milite … dietro il partigiano …

Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono.

“Il sentiero dei nidi di ragno” | Italo Calvino

L’opera d’arte

L’opera d’arte è un motore, su cui tu puoi intervenire con l’acceleratore o con il freno. Non vive di vita propria. Anche se appare conclusa, essa non è mai finita: basta lo sguardo di un attento osservatore per farla rivivere. Ha bisogno, un bisogno assoluto, del riguardante. Così come la più bella sinfonia ha bisogno dell’esecutore perché possa risorgere dal silenzio. La creatività non è prerogativa dell’artista, ma patrimonio comune, scambio, intreccio.

Giò Pomodoro intervistato da Eugenio Manca in “I ferri del mestiere”