"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Il meandro!

Il meandro!

Vidi sulla mappa che lì, tra Monticelli e Calendasco, il Boa disegnava la prima grande rivoluzione. Il primo di cinque, doppi avvitamenti ininterrotti. Dieci curvoni fino alla confluenza con l’Adda, alle porte di Cremona.

Sembrava impossibile che una massa capace di una simile spinta potesse ancora avvitarsi e tornare indietro. (…) E tutto, per giunta, avveniva senza ragione apparente.

Non c’erano ostacoli da evitare: Po si contorceva per il puro piacere di fare acrobazie. Il greco è lingua superiore, e la parola “meandro” conteneva già tutto il senso di quella follia, la quintessenza divagante e imprevedibile dell’acqua.

Un fiume che corre dritto verso il mare dà assai poco al mondo“, avevo letto da qualche parte.

Rettificare i torrenti è roba da plotone di esecuzione: si devasta chi sta a valle. Un fume rettilineo impazzisce, parte alla carica come un rinoceronte africano in una piantagione geometrica.

Per questo meandro è anche metafora grandiosa: la ricchezza dell’arrivo a Itaca sta negli infiniti giri che per anni Odisseo compie per raggiungerla. (…) Ma il fiume è anche narrazione: e poiché, nel discorso meandro è sinonimo di tortuosità, digressione e intrico, ecco che censurare i meandri di una discussione equivale a castrarla del suo meglio.

Sono le digressioni delle favole la cosa che piace di più ai bambini. E sono sempre i meandri a far penetrare un romanzo con maggiore efficacia. (…)

Sapevo che quelle curve erano per il fiume una ricchezza inestimabile: allungavano la superficie di contatto tra acqua e terra, ampliando quel mondo umido e anfibio dove la vita pullula più che altrove.”

Paolo Rumiz in “Morimondo”

Il fiume e la mano dell’uomo

“Il fiume, in età industriale, ha perso la sua libertà. La libertà che è forza spontanea, irruenza, e al tempo stesso pigro divagare. Esso è divenuto qualcosa di dominato, di regolato. Ma qualche squarcio di ciò che il fiume doveva essere si conserva ancora.

Laddove la mano dell’uomo non ha avvertito il bisogno di intervenire, esso scorre come doveva essere prima di ogni regolazione.”

Giorgio Borelli

Ponti vs manufatti

“È solo dal basso che distingui un ponte da un manufatto.

Il primo ha l’anima, il secondo è pietra, ferro e cemento.”

Paolo Rumiz in “Morimondo”

Meandri e anaconde

“Fu grazie [ad un’altana] e a un buon cannocchiale che potei distinguere anche i primi segni del Dio Serpente.

Sul lato nord, il piattume padano era segnato da una linea impercettibile di scarpate, concave come anfiteatri, punteggiate sulla sommità dai campanili lombardi simili a granatieri con l’elmo chiodato. Era l’estremo limite delle ghiaie alluvionali subalpine, che impercettibilmente digradavano, terrazzate di risaie, e che un anaconda inquieto aveva eroso, modificando il suo corso a ogni piena. La mappa al 100 mila diceva che dopo il Tanaro sarebbe iniziato un letto più largo e ingovernabile, e che quei meandri fossili si sarebbero fatti ancora più visibili con la confluenza del Ticino, il più potente dei fiumi del Nord, e poi verso l’Isola Serafini, alle porte di Cremona.

Ecco dunque: l’ampiezza del Po non era gli ottanta metri del suo corso e nemmeno i trecento del suo letto di ghiaie, ma i sette-otto chilometri tra quelle sinuose parentesi che a nord e sud chiudevano il discorso del fiume con una linea armonica e perfetta. Nessuna mano di architetto del paesaggio o di giardiniere avrebbe potuto disegnarle meglio. Quell’ampia zona inondabile era la garanzia della naturalità del fiume: su quell’autostrada larga come tre aeroporti, il Po correva libero e decollava sfolgorante verso il sole in ascesa.

La potenza di quella pazzesca macchina d’acqua non poteva essere capita né da una barca, né da un ponte e nemmeno da un argine, ma proprio da quella linea di paesini sconosciuti e prudentemente arroccati: Pieve Albignola, Zinasco, Cave Manara, Torre de’ Negri, Costa de Nobili, Santa Cristina, Chignolo, Mirabello.”

Paolo Muriz in “Morimondo”

Un aborto idroelettrico

“Eravamo in un aborto idroelettrico, una centrale mai nata, demolita da una piena ancora in fase di costruzione, un’oscenità contro natura, desertificate dall’incuria e calcificata dal sole come le pietraie della Dancalia. Pietroni scardinati, pozze d’acqua marcia color cobalto e, al culmine dello sfacelo, un ponte scosso da un incessante passaggio di camion. Un costo ambientale apocalittico per pochi kilo-watt. Eppure eravamo, secondo le mappe, nel parco del Po.”

Paolo Rumiz in “Morimondo”

Di una cosa però ero certo

“Di una cosa però ero certo. Il Po era pieno di letteratura, ma da lì fino al mare non avrei avuto bisogno di parole scritte. Come nella storia che narra di uno studioso che danneggia un’intera biblioteca per sancire l’abbandono del Libro e scegliere al suo posto l’umanità del fiume, anch’io davanti all’occulto sentii il bisogno di dimenticare i venerabili testi e affidarmi agli incontri.”

Paolo Rumiz in “Morimondo”